sabato 26 maggio 2018

Il pane duro


«È una questione molto seria. La nostra predicazione, il nostro annunzio effettivamente è ampiamente orientato, in modo unilaterale, alla creazione di un mondo migliore, mentre il mondo realmente migliore quasi non è più menzionato. Qui dobbiamo fare un esame di coscienza. Certo, si cerca di venire incontro all’auditorio, di dire loro quello che è nel loro orizzonte.

Ma il nostro compito è allo stesso tempo sfondare quest’orizzonte, ampliarlo e guardare alle cose ultime. I novissimi sono come pane duro per gli uomini di oggi. Appaiono loro irreali. Vorrebbero al loro posto risposte concrete per l’oggi, soluzioni per le tribolazioni quotidiane. Ma sono risposte che restano a metà se non permettono anche di sentire e riconoscete nel profondo che io mi estendo oltre questa vita materiale, che c’è il giudizio, e che c’è la grazia e l’eternità.

Le cose ultime non sono un miraggio tipo fata Morgana o utopie in qualche modo inventate, ma che colgono esattamente la realtà».

(Luce del mondo di Benedetto XVI pag. 145)

domenica 20 maggio 2018

L’oratore potente


Il pensiero è poco familiare con gli improvvisatori. Non ho mai letto che San Tommaso d'Aquino predicasse lo stesso giorno in tre diversi luoghi, e neppure tutti i giorni nello stesso luogo. San Domenico, San Vincenzo Ferreri. San Bernardino da Siena andavano a piedi.

L'oratore è potente non quando corre ma quando merita che gli altri gli corrano dietro. Orbene si corre dietro a chi dice cose e non già a chi vomita parole. Ma dove si trovano le cose da dire?

Nella solitudine, e la solitudine insegna anche a dirle. Con un libro sottobraccio e un bastone in mano, il dottor Tommaso si metteva in viaggio in compagnia del pensiero.
Questi viaggiatori a piedi non si stancavano di guidare il pensiero a una buona meta e di insediarcelo per lungo tempo. Quando arrivavano, allora il loro linguaggio metteva le ali che non avevano nulla a che fare con la telegrafia...

Il cristianesimo aveva fatto prevalere lo spirito sulla materia, mentre voi, facendo prevalere la materia sullo spirito, tornate indietro di almeno diciotto secoli.

(L. Veuillot, Il profumo di Roma)

lunedì 14 maggio 2018

L’attaccamento al luogo natio


Quando gli uomini sanno di lavorare in proprio, faticano con più alacrità e ardore, anzi si affezionano al campo coltivato di propria mano, da cui attendono, per sé e per la famiglia, non solo gli alimenti ma una certa agiatezza. Ed è facile capire come questa alacrità giovi moltissimo ad accrescere la produzione del suolo e la ricchezza della nazione.

Ne seguirà un terzo vantaggio, cioè l’attaccamento al luogo natio; infatti non si cambierebbe la patria con un paese straniero, se quella desse di che vivere agiatamente ai suoi figli. Si avverta peraltro che tali vantaggi dipendono da questa condizione, che la privata proprietà non venga oppressa da imposte eccessive.

Siccome il diritto della proprietà privata deriva non da una legge umana ma da quella naturale, lo Stato non può annientarlo, ma solamente temperarne l’uso e armonizzarlo col bene comune.

È ingiustizia ed inumanità esigere dai privati più del dovere sotto pretesto di imposte.

(Leone XIII, Rerum Novarum, 35)

mercoledì 9 maggio 2018

Non ho giorni cattivi


Nel secolo XIV vi era, nella città di Colonia, il celebre predicatore e teologo domenicano Giovanni Taulero, il tanto rinomato Doctor sublimits, noto per la scienza e la carità.
Un giorno, dopo aver fervorosamente pregato, uscendo di chiesa trovò un povero che lo mosse a compassione. La faccia era rosa a metà dalle ulceri, aveva perduto un braccio e una gamba, il corpo era sfigurato da piaghe ripugnanti...
- Buon giorno, fratello mio, - disse il famoso predicatore.
- Vi ringrazio, disse il povero; - ma io non ho avuto mai cattivi giorni.
- Credendosi mal compreso, il dottore replicò: - Vi auguro buon giorno, e tutto ciò che potete desiderare.
- Ho ben capito, e vi ringrazio della vostra carità, ma da molto tempo il vostro augurio si è compiuto in me.

mercoledì 2 maggio 2018

Costringere Dio a parlare


Il Concilio e l’esercizio supremo del magistero è giustificato solo da una suprema necessità. La gravità paurosa della situazione presente della Chiesa non potrebbe derivare proprio dalla leggerezza di aver voluto provocare e tentare il Signore?

Si è voluto forse costringere Dio a parlare quando non c’era questa suprema necessità?
È forse così?

Per giustificare un Concilio che ha preteso di rinnovare ogni cosa, bisognava affermare che tutto andava male, cosa che si fa continuamente, se non dall’episcopato, dai teologi.

Don Divo Barsotti (1914-2006)