lunedì 18 settembre 2017

Una misteriosa necessità


Anche popoli già cristiani abbandoneranno il Vangelo per l’agnosticismo o per le sètte (e questo sembra avvenire nell’Occidente d’oggi) o passeranno a un’altra fede.
Non è questo il caso delle ampie zone in Asia e in Africa che hanno finito per abbandonare il Vangelo per il Corano?
In questa prospettiva, lo scandalo – quello provocato dalle conquiste musulmane, ma anche da ogni arretramento se non disfatta a viste umane del cristianesimo – si attenua: anzi, può sciogliersi nell’accettazione di una misteriosa necessità.
Qui, come altrove, il cristiano è chiamato alla croce dello scacco, del fallimento, del lavoro apparentemente inutile: non al trionfo del successo, conquistato una volta per tutte. È un «servo inutile» che deve annunciare la fede, darle testimonianza, consapevole che quei semi potranno essere infecondi o potranno svilupparsi in fiori e piante destinati poi a essere sradicati.

L’apostolato, per il cristiano, è un dovere assoluto, indipendentemente dai risultati che, a viste umane, potrebbero anche indurre al massimo dello scoraggiamento: «occorre che questo avvenga». Non è avvenuto, forse, anche con lo stesso «apostolo delle genti», con Paolo di Tarso?
Rileggiamo ciò che, nelle sue parole stesse, la predicazione del Vangelo gli è costata: «Cinque volte dai giudei ho ricevuto i trentanove colpi; tre volte sono stato battuto con le verghe; una volta sono stato lapidato; tre volte ho fatto naufragio; ho trascorso un giorno e una notte in balia delle onde. Viaggi innumerevoli; pericoli di fiumi, di briganti, pericoli dai miei connazionali, dai pagani, nelle città, nel deserto, sul mare, da parte di falsi fratelli; fatica e travaglio, veglie senza numero, fame e sete, frequenti digiuni, freddo e nudità. E, oltre a questo, il mio assillo quotidiano, la preoccupazione per tutte le Chiese...» (2Cor 11,24–28).

E tutto questo per fondare comunità che furono poi quasi tutte travolte e soffocate da una fede che, in nome di Maometto, proclamava Gesù un sorpassato.
Quelle lettere ai Galati, agli Efesini, ai Colossesi; quei suoi rendimenti di grazie e lodi per la loro generosa ed entusiastica accettazione del Vangelo del Cristo... (anche se non vanno dimenticate le sue parole misteriose alla fine della vita: «Tutti quelli d’Asia... si sono staccati da me», 2Tm 1,15).
Da secoli, da quelle parti, più volte al giorno il muezzin ricorda ai muslim, i «sottomessi», che non c’è altro Dio che Allah e che Maometto è il suo Profeta.
Il contadino turco che si prosterna a quel richiamo, forse neanche sospetta che da quelle stesse parti qualcuno aveva un giorno accettato una fede – che gli fa orrore perché la giudica blasfema – in un Dio che si fa uomo e muore per la salvezza degli uomini.

Vittorio Messori: Pensare la storia – Editrice San Paolo, 1992 – ISLAM 6 (279).

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