domenica 5 giugno 2016

L’autorità e l’autoritarismo


Se diciamo di un uomo che «ha autorità», questo giudizio è un elogio. Ma se diciamo: «è autoritario» esprimiamo piuttosto una critica.

Dove sta dunque la differenza tra autorità e autoritarismo?

L’autorità di un uomo si misura dalla sua capacità di comando, cioè dalla fiducia che ispira al suo prossimo e che lo inclina a obbedire senza discutere. Nel celebre dramma «Re Lear», Shakespeare ci mostra il vecchio re spodestato che vaga nella foresta. Un gentiluomo, passando per di là, lo incontra e gli dice: «Non vi conosco, ma sento qualcosa in voi che induce ad obbedirvi. – E cosa è dunque? domanda il re. – L’autorità».

Autorità viene dalla parola latina augere, che significa: aumentare, far crescere. Là si trova il senso e lo scopo dell’autorità. Sentiamo, davanti a colui che la possiede, che obbedendo ai suoi ordini non saremo ingannati, né vessati o frustrati, ma che ci realizzeremo, che la nostra personalità si svilupperà attraverso la disciplina imposta. In altri termini, sentiamo che il capo non comanda in nome proprio, ma obbedisce a una legge superiore che è quella del bene comune di cui egli è rappresentante e intermediario. Così il buon padre di famiglia esercita l’autorità nell’interesse dei figli, il buon padrone in quello di tutti i membri dell’impresa e l’uomo politico degno di questo nome nel nome della nazione intera. In questo senso il capo è il servitore di tutti.

L’uomo autoritario, al contrario, è colui che comanda senza tener conto delle esigenze del bene comune e per il solo piacere di esercitare la propria potenza. I suoi ordini sono arbitrari, capricciosi e, in questa stessa misura, vessatori per coloro che li ricevono. Contrariamente all’etimologia della parola, l’obbedienza a simili ordini degrada l’esecutore in luogo di elevarlo. Ciò genera, a seconda del carattere del subordinato, il servilismo o il ribellismo.

È importante notare che questo autoritarismo è quasi sempre tipico di coloro che hanno la passione del potere senza aver ricevuto il dono naturale dell’autorità. Non possedendo le qualità interiori del vero capo, costoro cercano di colmare questa lacuna moltiplicando ed esagerando le manifestazioni esteriori dell’autorità.

Il vero capo è rispettato perché la sua autorità si impone per virtù propria ed è amato perché sappiamo che la esercita per il bene di tutti.

Il capo autoritario, al contrario, è temuto perché i suoi ordini, ispirati dall’egoismo e dalla vanità e non dalla chiara visione dello scopo da conseguire, sono incoerenti e imprevedibili e, perciò, quasi impossibili da eseguire, fatto che scoraggia l’obbedienza e presto o tardi porta al disprezzo dell’autorità.

L’esempio migliore di una tale contraddizione interna ci viene fornito da quella strana commistione di disciplina rigorosa e di negligenza nell’esecuzione che troppo spesso troviamo nell’organizzazione militare. – «Non ci affrettiamo» mi diceva un vecchio sergente, in attesa del contrordine ogni qual volta riceveva l’ordine di un superiore. L’autorità sana si esercita alla maniera di un dialogo tra due libertà unite in vista di uno scopo comune: quella dell’uomo che comanda e quella dell’uomo che obbedisce. Ma l’autoritarismo, nel deturpare questo rapporto umano, non può creare che dei tiranni che tradiscono il potere di cui abusano e degli schiavi che barano col potere che subiscono.

Gustave Thibon. L’autorité et l’autoritarisme, 29 marzo 1974.

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