martedì 2 febbraio 2016

Al modo delle colombe e non dei corvi


“Se volete conservare la carità, fratelli, innanzitutto non pensate che essa sia avvilente e noiosa; non pensate che essa si conservi in forza di una certa mansuetudine, anzi di remissività e di negligenza. Non così essa si conserva. 

Non credere allora di amare il tuo servo, per il fatto che non lo percuoti; oppure che ami tuo figlio, per il fatto che non lo castighi; o che ami il tuo vicino allorquando non lo rimproveri; questa non è carità, ma trascuratezza. 

Sia fervida la carità nel correggere, nell’emendare; se i costumi sono buoni, questo ti rallegri; se sono cattivi siano emendati, siano corretti.
Non voler amare l’errore nell’uomo, ma l’uomo; Dio infatti fece l’uomo, l’uomo invece fece l’errore. 
Ama ciò che fece Dio, non amare ciò che fece l’uomo stesso […] 
Anche se qualche volta ti mostri crudele, ciò avvenga per il desiderio di correggere. 

Ecco perché la carità è simboleggiata dalla colomba che venne sopra il Signore. Quella figura cioè di colomba, con cui venne lo Spirito Santo per infondere la carità in noi. Perché questo? Una colomba non ha fiele: tuttavia in difesa del nido combatte col becco e con le penne, colpisce senza amarezza. 
Anche un padre fa questo; quando castiga il figlio, lo castiga per correggerlo… ma è senza fiele. 
Tali siate anche voi verso tutti… Chi è quel padre che non dà castighi? E tuttavia sembra che egli infierisca. 

L’amore infierisce, la carità infierisce: ma infierisce, in certo qual modo, senza veleno, al modo delle colombe e non dei corvi”. 

(Sant’Agostino, commento alla prima lettera di Giovanni)

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