domenica 11 maggio 2014

Scambiare la propria cecità con la morte di Dio



«Oggi la verità è in crisi. Alla verità oggettiva, che ci dà il possesso conoscitivo della realtà, si sostituisce quella soggettiva: l’esperienza, la coscienza, la libera opinione personale, quando non sia la critica della nostra capacità di conoscere, di pensare validamente. 

La verità filosofica cede all’agnosticismo, allo scetticismo, allo «snobismo» del dubbio sistematico e negativo. 
Si studia, si cerca per demolire, per non trovare. 
Si preferisce il vuoto. Ce ne avverte il Vangelo: «Gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce» (Io. 3, 19). 
E con la crisi della verità filosofica (oh! dov’è svanita la nostra sana razionalità, la nostra philosophia perennis?) la verità religiosa è crollata in molti animi, che non hanno più saputo sostenere le grandi e solari affermazioni della scienza di Dio, della teologia naturale, e tanto meno quelle della teologia della rivelazione; gli occhi si sono annebbiati, poi accecati; e si è osato scambiare la propria cecità con la morte di Dio.

Così la verità cristiana subisce oggi scosse e crisi paurose. 
Insofferenti dell’insegnamento del magistero, posto da Cristo a tutela ed a logico sviluppo della sua dottrina, ch’è quella di Dio (Io. 7. 12; Luc. 10, 16; Marc. 16, 16), v’è chi cerca una fede facile vuotandola, la fede integra e vera, di quelle verità, che non sembrano accettabili dalla mentalità moderna, e scegliendo a proprio talento una qualche verità ritenuta ammissibile (selected faith); altri cerca una fede nuova, specialmente circa la Chiesa, tentando di conformarla alle idee della sociologia moderna e della storia profana (ripetendo l’errore d’altri tempi, modellando la struttura canonica della Chiesa secondo le istituzioni storiche vigenti); altri vorrebbero fidarsi d’una fede puramente naturalista e filantropica, d’una fede utile, anche se fondata su valori autentici della fede stessa, quelli della carità, erigendola a culto dell’uomo, e trascurandone il valore primo, l’amore e il culto di Dio; ed altri finalmente, con una certa diffidenza verso le esigenze dogmatiche della fede, col pretesto del pluralismo, che consente di studiare le inesauribili ricchezze delle verità divine e di esprimerle in diversità di linguaggio e di mentalità, vorrebbero legittimare espressioni ambigue ed incerte della fede, accontentarsi della sua ricerca per sottrarsi alla sua affermazione, domandare all’opinione dei fedeli che cosa vogliono credere, attribuendo loro un discutibile carisma di competenza e di esperienza, che mette la verità della fede a repentaglio degli arbitri più strani e più volubili.

Tutto questo avviene quando non si presta l’ossequio al magistero della Chiesa, con cui il Signore ha voluto proteggere le verità della fede (Cfr. Hebr. 13, 7; 9, 17).


Ma per noi che, per divina misericordia, possediamo questo scutum fidei, lo scudo della fede (Eph. 6, 16), cioè una verità difesa, sicura e capace di sostenere l’urto delle opinioni impetuose del mondo moderno (Cfr. Eph. 4, 14), una seconda questione si pone, quella del coraggio: dobbiamo avere, dicevamo, il coraggio della verità. 
Non faremo adesso alcuna analisi su questa virtù morale e psicologica, che chiamiamo coraggio, e che tutti sappiamo essere una forza d’animo, che dice maturità umana, vigore di spirito ed ardimento di volontà, capacità d’amore e di sacrificio; noteremo soltanto che, una volta di più, l’educazione cristiana si dimostra una palestra di energia spirituale, di nobiltà umana, e di padronanza di sé, di coscienza dei propri doveri.

E aggiungeremo che questo coraggio della verità è domandato principalmente a chi della verità è maestro e vindice, esso riguarda anche tutti i cristiani, battezzati e cresimati; e non è un esercizio sportivo e piacevole, ma è una professione di fedeltà doverosa a Cristo e alla sua Chiesa, ed è oggi servizio grande al mondo moderno, che forse, più che noi non supponiamo, attende da ciascuno di noi questa benefica e tonificante testimonianza».

PAOLO VI - Udienza Generale, Mercoledì 20 maggio 1970.

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