venerdì 4 marzo 2011

Spogliarsi del proprio per amore

«Il secondo termine fondamentale in teologia trinitaria, espresso con una parola estranea al nostro linguaggio comune (anche se comincia ormai ad apparire nei dizionari: vedi il Nuovo Vocabolario Illustrato della lingua Italiana di G. Devoto - G.C. Oli), è kénosis. Come pericoresi, anch’esso e per gli stessi motivi fu assunto dalla teologia nel suo originale greco. È un concetto imprescindibile, perché esprime una realtà senza la quale non è possibile cogliere cosa significa una dinamica trinitaria e applicarla nella nostra vita e nelle strutture sociali.
La parola deriva da un verbo che esprime il gesto di svuotare: ad esempio, un recipiente pieno d’acqua. Ma la sua enorme importanza teologica è dovuta al fatto che il Nuovo Testamento usò tale concetto applicandolo a Gesù Cristo. La seconda Persona della Trinità, il Figlio/Verbo, in Gesù di Nazaret “si svuotò” della propria divinità (senza con ciò alienarla) per farsi uno con noi, uno di noi:

“Cristo Gesù, pur essendo di natura divina,
non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio;
ma SPOGLIO SE STESSO”
(in greco: ekénosen). (Fil 2, 5-7).

“Gesù Cristo, da ricco che era si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà” (2 Cor 8, 9).

“Colui che non aveva conosciuto il peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio” (2 Cor 5, 2 1).

In questi testi viene espressa teologicamente la dinamica della vita trinitaria, che consiste nel donarsi completamente per amore producendo, con ciò, un duplice effetto contemporaneo: dare esistenza agli altri e realizzare la propria identità.
Il reciproco espropriarsi per amore costituisce come tale ciascuna delle Persone divine ed è questo il mistero intimo della vita intratrinitaria: “Il Padre genera per amore il Figlio, si “perde” in Lui, vive in Lui, si fa, in certo modo, “non essere” per amore e proprio così è, è Padre. Il Figlio, quale eco del Padre, torna per amore al Padre, si “perde” in Lui, vive in Lui, si fa, in certo modo, “non essere” per amore e proprio così è, è Figlio; lo Spirito Santo che è il reciproco amore tra Padre e Figlio, il loro vincolo d’unità, si fa, anch’Egli, in certo modo, “non essere” per amore e proprio così è, è lo Spirito Santo”. [Chiara Lubich all’Università San Tommaso di Manila, in occasione del conferimento del dottorato honoris causa in Sacra Teologia, in “Nuova Umanità” 109 (1997)]
Pertanto, kénosis signífica spogliarsi del proprio per amore, rinunciare a se stessi per darsi totalmente, per “farsi uno” con gli altri, per “vivere l’altro”, per permettere all’altro di realizzarsi, e in tal modo, allo stesso tempo, diventare più pienamente se stessi. Una tale realtà risulta paradossale o incomprensibile – come succede con altre affermazioni evangeliche - soltanto per chi ancora non ne ha fatto l’esperienza.
Chiara Lubich ha ripetuto spesso che, per ottenere una vera unità tra due persone, non basta la “mortificazione”, ma è necessaria la “morte” del nostro egoismo. Soltanto se mi faccio «vuoto» di tutto per amore mi metto nella possibilità di accogliere pienamente e comprendere a fondo il mondo dell’altro. Quando simile atteggiamento è reciproco tra due o più persone o realtà sociali, allora esistono le condizioni per un rapporto pericoretico, trinitario.»

Enrique Cambòn: “Trinità modello sociale”. Città Nuova Editrice, 1999.

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