lunedì 3 gennaio 2011

Relazione e diritto

«Uno sguardo allo sviluppo storico dell’esperienza giuridica ci mostra come il diritto nasce con l’uomo, proprio perché l’uomo è essere in relazione, ha bisogno degli altri uomini come gli altri uomini hanno bisogno di lui, ed in questa interdipendenza reciproca emerge l’esigenza di costruire rapporti giusti, cioè rapporti non di forza e di sopraffazione, ma di armonia ed ordine.
Questa esigenza è insita nell’uomo, in qualsiasi uomo, che riconosce così nella giustizia un valore da ricercare, rispettare, promuovere. Se, dunque, tocca al diritto regolare i comportamenti umani in tutte le relazioni sociali in modo che siano giusti, è evidente che c’è molto più diritto vissuto che diritto scritto o, peggio!, diritto violato e che, tutte le volte che ognuno di noi vive in modo giusto i suoi rapporti, il fenomeno giuridico è nel suo pieno vigore e la giustizia esplica il suo valore di motore della storia verso il compimento del disegno di Dio sull’umanità.
Il diritto è quindi così intimamente e fortemente legato all’esistenza stessa dell’uomo da poter essere definito come la “forma” dell’agire dell’uomo e delle sue relazioni. Da questa forma traggono la loro natura e la loro sostanza le regole, le istituzioni, i comportamenti, cioè le diverse forme nelle quali il diritto si esprime. […]
Nel mondo globalizzato assistiamo ad una sempre più grande frammentazione, nelle conoscenze, nei rapporti, nella vita quotidiana degli esseri umani che si ritrovano a vivere in questo villaggio globale gli uni accanto agli altri, ma non insieme con gli altri, anzi con la paura e la sfiducia negli altri e quindi in una profonda solitudine.
È in un certo senso la caratteristica della cultura moderna, sfociata in una crisi del pensiero, e quindi in una crisi di civiltà, che è stata definita epocale da Giovanni Paolo II.
In effetti si è venuto via via smarrendo il senso e il valore della relazione e quindi il senso del vivere; poiché la persona è relazione e la relazione genera vita; e, se non c’è la relazione, viene meno anche la persona: rimane l’individuo e l’individuo dice solitudine.
Vittima anch’esso di questa crisi culturale, il diritto è diventato sempre più il diritto dell’individuo, anzi degli individui, separati e isolati: non è il diritto della relazione, il diritto della persona. Ad esso viene chiesto di difendere la libertà degli individui e di risolvere i conflitti di libertà. È divenuto quindi strumento di risoluzione di conflitti, piuttosto che di edificazione della convivenza umana.
Ma come conciliare le libertà individuali in una sintesi superiore che porta alla comunione, nella quale e per la quale i soggetti possano vedere tutelate ed anzi potenziate le loro identità?
Ci sembra che l’unica risposta adeguata a questa esigenza si trovi in una visione del diritto che riconosca la sua dignità di mezzo indispensabile per contribuire a creare la comunione o a ristabilirla ove fosse stata rotta; esso stimola l’ansia di giustizia presente dentro di noi e ci aiuta a realizzarla; regola il rapporto entrando in esso per costituirlo rettamente, prima che curarlo nella sua patologia; ci insegna come vivere; ci avverte che alcuni comportamenti creano disunità; ci dà anche, nella gravità della sanzione prevista per essi, un certo criterio per misurare il grado della loro incidenza nella vita della comunità.
Ma quello che ci sembra importante sottolineare è che la comunione, l’unità – nella quale ravvisiamo il progetto di Dio sulla famiglia umana – non è qualcosa che annulla la persona, ma qualcosa in cui la persona si realizza. E questo perché è costitutivo dell’uomo essere in rapporto. […]»

Maria Voce. Dal discorso tenuto il 27 marzo 2009 in occasione del conferimento dell’Albo d’Onore dell’Ordine degli Avvocati di Cosenza.



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