sabato 4 dicembre 2010

La possibilità di scegliere il Bene

«Credo che alla parola «libertà» spetti la palma tra le nostre parole più usate e abusate. La usiamo praticamente per indicare in blocco tutto ciò che è valido e positivo, mettendo sull’altro piatto della bilancia tutto ciò che è negativo: intolleranza, totalitarismo, violenza.
Ma ci preoccupiamo pochissimo di guardare la «libertà» più da vicino, di guardare cioè anche la libertà con occhi critici, di considerare i problemi che suscita. Abbiamo fatto della libertà un mito, forse il vero mito del nostro tempo. In realtà, la nostra vita di uomini contemporanei è molto spesso condizionata da un’infinità di regole e di limiti, di obblighi da adempiere: proprio per questo, forse, la libertà, non essendo poi così reale, possiamo sentirla e sventolarla come un ideale, o come un mito appunto.
Proiettata ad altezze sublimi, la libertà è venuta sempre più perdendo, in pratica, la sua concretezza, il suo contenuto. I troppi significati, le troppe accezioni che la parola libertà è venuta assumendo attraverso i secoli, a seconda delle diverse dottrine e interpretazioni, hanno finito per consumarla, per ridurla a poco più di un retorico flatus vocis, buono per tutte le occasioni.
Se fosse possibile, proporrei volentieri di abolire l’uso della parola almeno per qualche anno, tanto da disintossicarci e darci il tempo di riflettere. Ci sono altre parole, come “Dio” o “spirito”, alle quali un analogo trattamento farebbe sicuramente altrettanto bene.
Detto così in due parole, i filosofi medievali pensavano alla libertà come possibilità, da parte dell’uomo, di scegliere il bene: il suo bene, quello cioè che è conforme alla sua natura e ai suoi autentici bisogni. Ma questo presupponeva una visione del mondo che aveva al vertice il "bene sommo", cioè Dio, e tutto era ordinato in funzione di quello.
Quando con l’avvento della modernità, con l’affermazione dell’assoluta autonomia dell’uomo, questo riferimento non è più primario, la libertà perde il suo fondamento certo.
Qual è, allora, il bene per l’uomo, che la libertà dovrebbe scegliere?
Si moltiplicano così anche i modi d’intendere la libertà: ce ne sono specie diverse, applicabili ad ambiti diversi.
La libertà è stata intesa per esempio come spontaneità: l’uomo è considerato libero quando nulla dall’esterno lo costringe in un senso o nell’altro, obbligandolo a essere in un modo o nell’altro. L’uomo è libero, allora, nello stesso senso in cui un albero è libero secondo le sue potenzialità, senza che nessuno cioè forzi la sua crescita piegandolo o potandone i rami.
Ma in realtà ogni uomo, oltre ai suoi condizionamenti biologici, è condizionato da innumerevoli altre circostanze ambientali, sicché sembra addirittura impossibile concepire una scelta umana che non sia anche la conseguenza di ciò che dall’esterno lo determina a essere e a comportarsi in un certo modo.
Sebbene la società, dal punto di vista politico e giuridico, abbia in qualche modo definito l’ambito della libertà del singoli, la cultura moderna e contemporanea si è affaticata intorno al problema della libertà senza riuscire a pervenire a una soluzione, ma dibattendosi piuttosto in sempre più radicali contraddizioni.»

(Dal testo di Sergio Quinzio sul tema della «Libertà», preparato per una riflessione su «Religione e potere» promossa nel 1986 dal Teatro Franco Parenti di Milano nell’ambito del ciclo di incontri «Processo alla cultura». Il testo è stato ritrovato dallo studioso e critico teatrale Andrea Bisicchia e pubblicato da Avvenire, 18 ottobre 2009)

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1 commento:

  1. Non appena si è liberi di scegliere, si cerca una guida da seguire a pappagallo. Con le deleghe, posso attribuirmi qualunque scelta incaricando altri di scegliere PER me anziché SU di me, quindi potrò sentirmi onnipotente perché tutto quel che faranno gli altri lo faranno in mio nome. Se non mi do la briga di scegliere cosa mangiare, invece di affidarmi allo chef o al dietologo sarebbe meglio che prendessi senza brontolare il rancio deciso dal comandante della caserma

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